22/02/11

Le tre ghinee - Virginia Woolf

Scritto tra la fine del 1936 e gli inizi del 1938 da una cinquantacinquenne Virginia Woolf, autrice già affermata, Le tre ghinee venne giudicato al momento della sua pubblicazione un libro confuso, strano, sbagliato, perché innestava la minaccia del fascismo sulla questione della condizione femminile.

In effetti, questo lavoro della Woolf sfugge sin dall’inizio a una rigida classificazione di genere, perché pur avendo le sembianze di un trattato di politica, è concepito in forma di lettera in risposta alla richiesta del presidente onorario di un’organizzazione inglese antifascista di dare un contributo alla prevenzione della guerra sottoscrivendo una lettera ai giornali, diventando membri dell’associazione oppure offrendo un contributo in denaro all’associazione. Nella sua lunga risposta, che travalica di gran lunga i limiti di una missiva, la Woolf accoglie la preghiera dal suo punto di vista, quello di una donna, tradizionalmente esclusa dagli affari bellicosi: quando mai, infatti, un uomo colto ha chiesto a una donna come secondo lei si possa prevenire la guerra? si chiede stupita la scrittrice, ma proprio l’eccezionalità del caso, invece di dissuaderla dal proposito di rispondere, la sollecita a una argomentazione che muove dalla sua ottica e che, per traslato, abbraccia quella di tutte le donne della sua condizione.
In che modo, dunque, le donne potrebbero offrire un aiuto concreto a prevenire la guerra? Quali strumenti hanno per farlo? Qual è la loro educazione, quali le loro rendite e il loro peso nella società? La Woolf non si affretta sulla strada di una supposta parità dei sessi, evocata solo in caso di necessità, ma con perizia di argomentazione e ricchezza di dati solleva il velo dell’ipocrisia che ammanta una realtà fondata su una differenza imposta come esclusione, che relega la donna a ruoli puramente assistenziali, privandola di pari opportunità di studio e di lavoro, condannandola dunque a un peso sociale insignificante, alla marginalità. Di fronte a questa constatazione, la Woolf non si preoccupa di reclamare l’inclusione in un universo simbolico fondato su un sistema di valori tutto maschile, in cui l’istinto di guerra non è altro che una propaggine dell’istinto sessuale maschile. Cosa cambia, ad esempio, se le donne sono ammesse in un sistema di istruzione pensato dagli uomini in cui il valore è suggellato dai diplomi, dimostrato attraverso la competizione, ordinato su scale gerarchiche? Alle donne non resta che aderire a una sistema educativo che è pensato da e per altri, nel quale la specificità della natura femminile è ricondotta a forza e pertanto annullata. In questo modo, le strutture del pensiero si conservano e si tramandano immutate, determinando una società sostanzialmente rigida, non incline all’evoluzione, ma che, dietro la retorica dei buoni propositi, in realtà tende alla conservazione del sistema patriarcale.
Per cui la scrittrice, pur non rinunciando a rispondere alla richiesta ricevuta, non si dichiara disponibile ad aderire a un sistema di valori che ha la lucidità di definire non suo e invita le donne a una politica separata che faccia della differenza un fattore positivo di trasformazione. La prevenzione della guerra è possibile solo all’interno di una società che non assuma la differenza come elemento di esclusione sulla base del sesso e della razza. Non è un caso che il sessismo e il razzismo siano le colonne portanti di ogni regime totalitario. Per questa ragione, la Woolf opta di dare il suo sostegno alla causa antifascista mantenendosi al di fuori di un’associazione e di una politica che percepisce estranee ed adoperandosi in favore di una società che offra ai cittadini e alle cittadine le stesse possibilità di crescita. Delle tre ghinee che decide di devolvere alla prevenzione della guerra, una andrà all’associazione che ha chiesto il suo aiuto, una ad un’ università femminile e una ad un’associazione di assistenza alle donne che vogliono intraprendere una libera professione, perché solo quando esse potranno avere accesso a una istruzione propria e godere di una indipendenza economica riusciranno a dare un contributo efficace alla costruzione di una società in cui la minaccia della guerra sia scongiurata.
Dietro le numerose divagazioni in cui la scrittrice indulge per sostenere le sue tesi è dunque rintracciabile un filo conduttore che lega il sessismo al fascismo e che termina in un accorato appello alle donne a non piegarsi alle lusinghe di medaglie, onorificenze e titoli, a non ricercare l’approvazione, il plauso, la fama e la ricchezza, a liberarsi da ideologie di sorta. Ma soprattutto, con una penna vibrante di emozione, la Woolf ci chiama a non prostituire la nostra anima, a rifiutarci di vendere il cervello per denaro, trasformando la castità del corpo in castità della mente,conservando quel giudizio individuale in cui risiede l’essenza della libertà. Come un urlo dalle pagine ci giunge l’invito a coltivare una mente autonoma, una volontà autonoma, attraverso l’arte, la ricerca e una continua sperimentazione che ci portino ad abbandonare quell’atavico sistema simbolico creato da e per gli uomini e ad inventarne uno nuovo, perché fino a quando saremo dentro il vecchio, non avremo gli spazi per immaginarne un altro.
Ma non appena vi sentite attratte nel vortice del girotondo, smettete subito. Spezzate il cerchio con una risata.
Come non ascoltare le parole della Woolf soprattutto oggi che la tradizionale politica androcentrica, nello squallido spettacolo che dà di sé, dimostra di non avere più la forza di procedere oltre e di avanzare delle alternative ad una società violenta e rabbiosa, che ha fatto della compravendita dei corpi e delle menti la chiave di uno pseudo successo vorace e distruttivo.
A noi donne, dunque, esprimere lo sdegno, il rifiuto e insieme trovare nuove parole e inventare nuovi metodi per creare una società più umana, che non si appiattisca sull’omologazione a un solo modello e che faccia della differenza un bene prezioso.

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